martedì 14 luglio 2015

A un passo dall'Eden

Senza caffè,
ancora con i nodi della scorsa giornata,
quattro settembre millenovecentosettantacinque,
questa mattina l'equilibrio è in volo.
Immobile scruto le tue gambe cenere,
le tue gambe legno,
bisogno di.
Le curve iniziali del punto interrogativo
segnalano sempre una speranza,
prima di precipitare e colare nel suo punto definitivo,
nel suo punto sordo.
Il Prometeo di gioventù
manovra coltelli roventi
per cercare e colmare,
sopra letti eterei,
a un passo dall'eden.
Mi ricordo di te,
quando suonavi quel pianoforte impolverato
godendoti anche le stonature
dal sapore di Eau de vie.
Ti odiavo
perchè mi distraevi dall'arte
mentre l'arte mi parlava di te
e finivo per frantumare ogni costrutto,
strisciando saliva su ogni parola,
ingoiando il sapore acre del dolore
fino alla bava dell'overdose.
Mi ricordi la merda sotto i fiori
comparabile quasi alla figlia di Eva,
comparabile quasi a una vecchia puttana
così in bilico 
sopra il filo della psicologia tragica 
delle ovvie tragedie
del Grand Guignol.

lunedì 24 febbraio 2014

Il paese delle meraviglie



Colpisci,
e non dimenticare quello che ti hanno fatto.
Andiamo Fred,
lamine di metallo dentro i pantaloni
per rubare la quarta macchina,
nascondimi,
nascondimi,
destinazione:
Paese delle meraviglie.
Mettiamo i cerotti sopra questi sedili sconosciuti
e la voce di Jake Bugg
al massimo;
appoggio la schiena sul volante
che maliziosamente controlli.
Il sole, timido,
scompare al cospetto della nostra bellezza,
avvolto in un orgasmo
dietro la montagna,
sui miei capelli dentro la tua bocca aperta.
I nostri movimenti lenti,
What doesn’t kill ya...
I sospiri dentro la tua cresta blu
What doesn’t hurt..
Il mio inferno all'indietro e gli occhi rapiti
Sometimes you feel you’re up against the world..
dentro, fuori, dentro, fuori, dentro, fuori
What doesn’t kill ya...
strapparti la pelle
What doesn’t break...
e ricucirla come fosse un maglione sgualcito
This life it seems...
come l'infinito telaio di Penelope.
To bring you to your knees..
Noi due, respira.
You try you bleed then finally you breathe.
La mia schiena, come un tavolo,
dove tritare i tuoi pezzi di cristallo.
Le tue labbra sotterrate dal cartoncino leccato.
Il paese delle meraviglie è vicino,
con i suoi colori brillanti
e gli sfondi incantati.
Sale l'Amore, sentilo arrivare,
come un ticchettio musicale pronto ad esplodere,
come la smania di un pubblico in attesa che lo spettacolo cominci.
L' Amore in frac,
elegante e sublime,
sopra le scale d'ingresso del Théâtre de Chaillot,
toglie il cilindro non appena mi vede:
“Finalmente è arrivata!”,
sorride.
Si avvicina alle mie labbra scarne ,
appoggiando le sue, simili all'acqua cristallina.
Ad occhi chiusi rivedo lo scoppio del Big Bang,
il paradiso terrestre,
l'evoluzione delle scimmie,
i primi petali,
le prime prestazioni sessuali,
le prime vocazioni sentimentali,
le prime anime.
C'è qualcosa nella Natura
di completamente irreale
e innocente,
che non ha mai conosciuto il male,
fino a quando non arrivò il fuoco.
Nonostante il pericolo,
si conserva Regina degli uomini,
in attesa di un loro ritorno,
talmente bella da non poter essere definita,
né categorizzata, né rinchiusa.
E cerchi di mangiare sempre più aria,
a pieni polmoni,
come se volessi quel momento per sempre.
Inchinandoti,
assumi le forme del pavone bianco,
poi del cigno,
in un connubio con la Natura
al tramonto.
I pensieri sciolgono i propri nodi
e vagano liberi,
mille parole mi saltano fuori,
le vedo saltellare sulle mani
e magari hanno ragione loro:
“Se osservi bene non ci sarà mai spazio per il vuoto”

Il paese della meraviglie Fred,
dove non c'è nessuna paura di amare.

venerdì 21 febbraio 2014

Diamanti






Per quanto ne so qua siamo fottuti,
per quanto ne so l'odio è troppo e troppo poco.
Per quanto ne so sto saltando sul divano
del nostro appartamento mai acquistato.
Per quanto ne so sto solo sibilando
pensieri di cenere.
Per quanto ne so quello che volevi
era uscire dal cinema,
dai locali ancora in piedi all'alba,
dal tuo corpo da bambino,
dalle delusioni,
dai tuoi spasmi neonati,
dalle canzoni di tuo padre,
dalle attese interminabili,
dalle gocce di velenosi inganni,
dalle chiese moderne,
dai necrologi appesi davanti casa,
dalle risate bizzarre della gente,
dalle occasioni perse,
dai pianti in bagno,
dai sorrisi dolciastri,
dai quadri disadattati,
dalle recite dei vicini,
dall'ansia pre-dose,
dall'ansia post-dose,
dalle medicine della nonna,
dagli incubi,
dai baci distratti,
dai pensieri felici farciti di merda,
dalle soluzioni,
dalla filosofia esorcizzante,
dalle fotografie che respirano,
dalle strade sbagliate,
da quelle giuste,
dalle interruzioni nei momenti indesiderati,
dai lavaggi del cervello,
dalle paure che ti chiamano,
dai continui sospetti alla fine di ogni corsa,
dalle canzoni ormai tabù.
Quasi programmati,
quasi programmati
con il cuore muto
che urla in silenzio;
e per quanto ne so,
come una fiaba
nel suo eterno
e nauseante finale,
siamo assolutamente diamanti
dentro pietra lavica.

mercoledì 19 febbraio 2014

Eri bella come Kate Moss





Perchè non ho mai avuto niente da dirti
nella tua dolcezza a forma di chignon,
e nelle tue linee,
così rette e puntuali
da far innamorare i ribelli.
Quel fumo continua a tribolarti in bocca,
trasformandosi in cadaveri fluttuanti di Beverly Hills.
Copertine allagate da pozzanghere di vodka,
il tuo sorriso cancellato da tutti gli archivi,
il tuo conto in banca che scoppia
e la tua anima in pasto ai cani.
Nei patti sanciti da lingue bizzarre
mi trapassi pillole d'inferno e sapori di amanti,
ma continui a guardarmi e ridi.
Io non ci riesco più,
e sento il tuo effetto che sale
e ribolle,
dentro i crateri della nostra debole innocenza
e del tuo odio che sta sopra tutte le impalcature.
Solenni bestemmie sporche di rabbia
o sospiranti di piacere
mentre ci facciamo a pezzi.
Sessualità palpabile
dietro occhi a rete
e sigarette leali come soldati,
pronte e destinate a morire,
dentro cinque trincee lunghe e sottili
dipinte da Schiele.
No,
non ho mai avuto niente da dire
perchè le parole me le hai rubate in silenzio
quando nell'angolo contavo 
le mie maledizioni.
La cosa più ragionevole
e più errata che potessi fare,
mentre le mie mani sottomesse al Parkinson
piangevano il tuo rossetto,
era ricordarti per l'ultima volta
che eri bella come Kate Moss.

martedì 18 febbraio 2014

Vene geroglifiche



Me lo immagino già il Futuro.
Immagino già le sue grosse mani
pronte a palpare l'interno rigido e ansioso di una vita fottuta,
forse si, forse no.
Blocco, mi blocco,
maledizione!
Dannazione!
Ti muovi tra le budella,
sottile e feroce,
come un leone in posizione d'attacco,
quasi mi ami
in quest'eterna paranoia.
E cado nell'eterno regno del pensiero,
cado, cado, cado
a braccia aperte, come l'Amore,
a raccogliere freddo, orgasmi,
il piscio dell'handicappato del quinto piano,
le liti, i telegiornali che parlano di crisi,
gli occhi del ragazzo con cui scopo da un mese,
il rosario tra le mani della vecchia,
l'amante e i suoi capelli imbarazzanti,
il ferro da stiro immobile.
CHIUDETE TUTTE LE FOTTUTE FINESTRE!
Anche se è inutile.
Bisogna solo aspettare
perchè tanto prima o poi ci arrivi.
Prima o poi il freddo lo tocchi,
con tutti i suoi orgasmi, con il piscio dell'handicappato,
con le liti, telegiornali burattini che parlano di crisi,
gli occhi del profumo, il rosario tra le dita,
la camicia sopra le gambe delicate dell'amante,
il ferro da stiro immobile, mezzo dio mezzo uomo.
Prima o poi tocchi.

C'è una speranza spenta
sul tuo corpo,
e gli occhi tristi di qualcuno che ha bevuto l'anima ancora una volta.

Addosso,
maledettamente addosso,
puntualmente addosso.

Vene.
Da strappare, pregare,
doppiogiochiste fedeli.

Pensare, comporta automaticamente
a pensare al peggio.
Nessuno scrive se è felice,
nessuno pensa se è ottimista.
Queste vene geroglifiche 
strisciano da anni
sul mio orecchio sinistro,
e nel totale abbandono dei sensi
le ascolto mentre
mi parlano di quanto
sia fatale questa giovinezza
che percorriamo a caduta libera,
lasciando impronte più o meno visibili
e una sottile striscia di sale,
che tra qualche ora uno spazzino trascinerà via.
E poi domani,
cosa ci sarà scritto domani?

domenica 9 febbraio 2014

Tu non pensarci mai agli anni 20



Ti vedo sopra quel palco anni 20,
di fronte un microfono a nastro
che copre metà della tua bocca
e il pubblico affogato negli intellettualismi dell'alcol
o nell'alcolismo degli intellettuali.
“E sai che sarà amore,
qualsiasi taglio, qualsiasi posto,
qualsiasi voce, qualsiasi urlo,
qualsiasi sbaglio, qualsiasi errore,
qualsiasi pioggia,
sai che sarà amore”,
così recitava il muro all'ingresso della Festa Mobile,
un manifesto degli spiriti.
“Beviamo i nostri ricordi,
pregustando la follia della vita,
che dentro si ribella
trasformandosi in vomito dagli occhi spalancati”,
gridava il giovane scrittore sopra il tavolo
tra mille conati e singhiozzi,
tu sai cosa vedevamo.
Metteva all'asta le sue parole,
nella bancarella accanto al ponte,
sopra una coperta a chiazze gialle.
Povera anima perduta!
Seduto lì,
sull'altra parte del fiume
c'è il pianista
che, sbronzo, alle prime luci del mattino
accompagna i lavoratori
a suon di Cole Porter
e stonature dal sapore di Eau de vie.
Case ben chiuse da catene di sesso e soldi,
lo sanno tutti:
le prostitute di Madame Bonnet.
E i potenti, fatti di plastica,
le cercano e poi si nascondono,
entrando e uscendo dai segreti di quelle bestie tristi.
Notte come note,
un accompagnamento, un arrangiamento:
toglietevi i vestiti,
le penne prendono vita,
e dosi d'inchiostro ci riprovano,
su nuove ballate e dialoghi da marinai,
su cartelli della rivoluzione intellettuale,
su quadri chiassosi di emozioni.
Ci ho pensato tante volte
sugli specchi dei banconi del bar,
ingoiando amore e whisky,
sognando basiliche con cupole rotte
dove poter far parte del cielo assieme.
Li abbiamo sempre immaginati i tetti rotti,
solo che non ce lo dicevamo
ed è arrivata la marea
a masticarci tra i denti,
proprio ieri
quando ha lasciato solo fumo bianco.
E in un lampo il giorno risucchia la notte,
e i bambini escono felici la domenica mattina
con il basco e i palloncini rossi.
Tu non pensarci mai al vento del manicomio,
tu non pensarci mai alle vie d'uscita,
tu non pensarci mai agli anni 20,
mai.


martedì 4 febbraio 2014

Marijuana per Theo



Ho bisogno di te come la pioggia in un giorno d'estate,
come la spina dorsale, diceva Theo.
Proteggimi sotto le luci di questa città grigia,
con le labbra appoggiate alla speranza,
aspirando più vita possibile,
attorno a maschere barocche e comiche
pronte a attaccarsi a quest'ultima notte.
Eroi di bracieri,
schiavi del piacere sottile di cartine umide,
impazienti di rinascere nella vita che vorremmo,
dentro un orgasmo cosmico di un dualismo imprecisato,
condannato ad armonia ed ossessioni,
sensazioni pronte al decollo
e sogni come schemi matematici
collegati a DNA quasi dimenticati.
Perchè questa fiamma si arrampica?
Siamo tra il blu e l'invisibile,
la linea dei peccatori.
Paura cacciata fuori
da bocca in bocca,
trasformatasi in fumo denso, congelato, lento,
tossico.
Armadi di paranoie ricolmi di fiori,
"I fiori del male"
diceva qualcuno dentro le tue orecchie.
Mi abbandoni e ritorni
come un amante indeciso
alle prime ore del mattino,
e sono altri cento abusi mentali prima di chiudere gli occhi.
Un altro bacio e poi altri cento,
dentro me,
abbraccia e soffoca
nell'incoscienza dagli occhi rossi
che pretendono e urlano
come un fanatico sanguinante.
Una dose di altri cento baci,
delicati e leggeri,
il nostro amore bruciato,
sospirato,
e buttato fuori.
Un rischio tra sogni ed incubi.
Un incantesimo legato all'anima
che si spegne
quando la sabbia nella clessidra
ha risucchiato l'ultima mano 
dai tanti colori pallidi.
Sui materassi enormi,
a immaginare la felicità
e la forma regolare dell'infinito
viaggi senza destinazioni
si cercano e si tradiscono
dentro cervelli trasognati.
Nell'angolo ancora altri corpi infreddoliti
si muovono,
nervosi,
tristi,
in questo senso intimo di solitudine
fino ad attorcigliare le nostre braccia
attorno alla propria schiena,
in un abbraccio con se stessi
che affonda
e affonda
e affonda.